Totò, lo straordinario attore marionetta
Stefania Maraucci, «Hystrio», aprile-giugno 2021.
Un volto irregolare, una mimica facciale e una disarticolazione corporea fuori del comune, «un marionettismo capace di tutte le bizzarrie» hanno reso Totò icona immortale del cinema italiano. Ma il Principe della Risata mosse i primi passi da attore recitando a Napoli nelle farse a soggetto della tradizione comica tardo ottocentesca, tramandata dalle famiglie d’arte e basata quasi completamente sull’improvvisazione, una pratica teatrale che affinò ininterrottamente anche quando si misurò con le nuove forme dello spettacolo. La bella antologia Il teatro di Totò. 1932-46, curata da Goffredo Fofi e pubblicata alla fine del 2020 da Cue Press, raccoglie esilaranti sketch scritti da Totò e da lui interpretati nei varietà e nelle riviste: una preziosa raccolta di testi inediti che, sebbene poco più che canovacci, chiaramente funzionali all’inventiva e alla dilatazione mimica e verbale dell’attore, documentano, almeno in parte, il momento più autentico della sua comicità, successivamente arginata e normalizzata dal cinema. Un’arte scenica purtroppo verificabile solo nelle testimonianze di chi ha avuto la fortuna di vederlo recitare in teatro. Anche i temi presenti in questi testi, come la mancanza di danaro e la fame (La scampagnata), i travestimenti e gli scambi di persona (Totò divo del cinema), la lotta dell’uomo qualunque contro l’autorità (L’onorevole in vagone letto), per fare solamente alcuni esempi, se da un lato indicano il progressivo passaggio ad argomenti sempre più vicini alla cronaca, accompagnata da intenti di satira politica e sociale, dall’altro evidenziano un’essenzialità drammaturgica che prefigura la singolare capacità dell’attore di farsi scrittura scenica, oltre a sottolineare quella vena corrosiva e dissacrante che caratterizzerà il meglio delle sue interpretazioni cinematografiche.